Il mediatore interculturale è una figura professionale che svolge attività di mediazione tra gli immigrati e i servizi del paese ospitante, con lo scopo di facilitare una comunicazione e una comprensione reciproca.
Ovviamente, deve conoscere profondamente sia la cultura del paese di cui è mediatore sia quella del paese in cui abita.
Questa figura professionale ha iniziato a delinearsi a partire dagli anni Novanta, in particolare a seguito della sanatoria del 1989, in quanto in alcune grandi città come Bologna, Firenze, Milano, Pisa e Torino, era emersa l’esigenza di avvalersi di traduttori e consulenti per aiutare gli operatori dei servizi a comunicare con persone straniere. Sono nati così i primi corsi per Tecnici addetti alla comunicazione sociale, che hanno ufficializzato una figura professionale già conosciuta in Europa, ma non ancora esistente in Italia.
Il mediatore interculturale ha il compito primario di facilitare l’accesso dell’utente straniero ai servizi, sia pubblici sia privati, presenti sul proprio territorio di residenza. Ha anche il compito di formare e informare gli operatori dei servizi, per renderli più consapevoli in merito a logiche, codici comportamentali, abitudini e norme a cui l’utente straniero fa riferimento. Offre consulenza nella ricerca delle soluzioni più adeguate ai problemi del soggetto e nella programmazione di interventi sul territorio, suggerendo modi di operare e proponendo possibili soluzioni all’operatore sociale.
I mediatori interculturali possono prestare attività nei seguenti settori: giudiziario (tribunali e carceri), assistenziale, socio-sanitario (ambulatori medici, consultori e ospedali). E ancora presso uffici della Pubblica Amministrazione e aziende private.
Collaborano, inoltre, con gli insegnanti delle scuole dell’obbligo per facilitare l’inserimento di bambini e ragazzi immigrati e partecipano a progetti di educazione alla multiculturalità.
Generalmente, i mediatori lavorano in qualità di consulenti. In alcune casi, possono organizzarsi in agenzie, che raggruppano professionisti del settore, appartenenti a diverse aree linguistico-culturali, in grado di fornire consulenze specifiche e di porsi come interlocutori ufficiali nei confronti dei servizi. I requisiti richiesti per un’assunzione possono variare da un’agenzia all’altra: è, comunque, preferibile possedere una qualifica professionale e aver già fatto esperienza come mediatore, preferibilmente presso un ente pubblico.
Formazione
Per intraprendere la professione di mediatore interculturale occorre frequentare un corso di formazione professionale, organizzato dalle agenzie formative presenti sul territorio nazionale e riconosciuto dalle Regioni. Il corso è gratuito, ha una durata di circa 600 ore e fornisce una preparazione di base su: normativa italiana vigente in materia di immigrazione, diritti e doveri dello straniero, funzionamento dei servizi socio-sanitari, elementi di psicologia e comunicazione non verbale. Alla fine del corso è previsto anche un tirocinio pratico.
I requisiti richiesti per essere ammessi sono
-essere residenti in Italia da almeno due anni
-possedere un diploma di maturità quinquennale, asseverato nel Paese di origine o da asseverare direttamente in Italia[1];
superare eventuali prove d’accesso.
Con il superamento dell’esame finale viene rilasciato un Attestato di specializzazione professionale.
Chi desidera proseguire gli studi può iscriversi al corso di laurea triennale in Mediazione linguistica (classe L12), spesso gestito come corso interfacoltà fra Lettere e Scienze politiche. Questo percorso formativo include lo studio di due lingue straniere, con particolare attenzione al contesto culturale. Inoltre è previsto un curriculum per studenti stranieri, che approfondisce lo studio della lingua e della cultura italiana.
L’offerta formativa è piuttosto varia e le denominazioni dei corsi di laurea sono attribuite direttamente dalle università, per cui risulta difficile elencare tutti i corsi attivati dalle varie facoltà
Al mediatore è richiesto di tenersi aggiornato sulla normativa riguardante gli stranieri e sull’organizzazione dei servizi. È utile, inoltre, che egli mantenga stretti contatti con la comunità di appartenenza per comprendere meglio i problemi degli immigrati che a lui si rivolgono.