Quando un immobile viene locato, ci sono in ballo due diverse esigenze, l’una è quella del proprietario che vuole ricavare dalla locazione un reddito e la possibilità di rientrare in possesso del bene quando ne ha di nuovo bisogno, l’altra è quella del conduttore-inquilino che vuole pagare un canone sostenibile e avere il tempo di trovare un’altra abitazione in caso di disdetta.
Concretamente si possono indicare cinque ipotesi di locazioni abitative e altrettante ipotesi di canone
locazione libera: se il proprietario è disposto a locare l’immobile per almeno otto anni (quattro + quattro), il canone è libero e, cioè, può essere liberamente determinato;
locazione a canone concordato: se il proprietario è disposto a locare l’immobile alle condizioni normative prefissate, il contratto potrà avere una durata minima inferiore alla precedente tipologia contrattuale e, cioè, cinque anni (tre + due di rinnovo automatico);
per uso transitorio: se il proprietario ha l’esigenza di locare l’immobile per un periodo inferiore a diciotto mesi perché ha bisogno della casa o perché l’inquilino ha esigenze transitorie, dovrà, nei comuni considerati ad alta densità, attenersi ai canoni prefissati dalla legge, mentre negli altri comuni potrà applicare un canone libero. Per dettagli è possibile vedere questa guida sul contratto di locazione transitorio.
locazione per studenti universitari: se il proprietario vuole locare per non più di due anni a uno o più studenti universitari non residenti nel comune ove si trova l’immobile, potrà pretendere un canone non superiore a quelli previsti dalla legge pur avendo varie agevolazioni fiscali;
è l’ipotesi prevista dal codice civile a determinate condizioni e, cioè che l’immobile sia di lusso ovvero sottoposto a vincolo storico-architettonico; che la locazione abbia esclusivamente finalità turistiche; che la locazione abbia ad oggetto l’uso foresteria e, cioè, abbia come inquilino una società che utilizza l’immobile esclusivamente per dipendenti o clienti fuori sede; che l’immobile sia un box ovvero un magazzino.
Le locazioni ad uso abitativo di gran lunga più comuni sono le prime due.
Per quanto concerne le locazioni libere, queste prevedono che proprietario ed inquilino si accordino liberamente sul canone. L’unica prescrizione dettata dalla legge è quella sulla durata che non può essere inferiore a quattro anni più quattro in conseguenza di rinnovo automatico.
Chiaramente il canone, una volta stabilito, non può essere modificato per tutta la durata del contratto salvo prevedere l’aggiornamento del canone. La prassi più comune è quella di determinare l’aggiornamento secondo una percentuale varia dell’ISTAT ma nulla vieta di determinare l’aggiornamento con criteri vari.
Poiché questo tipo di contratti è liberamente determinabile, le spese di amministrazione relative all’immobile è bene siano specificatamente indicate. Qualora non si sia minuziosamente stabilito “quali spese paga chi”, il codice civile prevede che quelle di ordinaria amministrazione siano a carico dell’inquilino e quelle straordinarie a carico del proprietario.
Poiché su quanto detto nascono spesso incomprensioni è bene prevedere prima “chi paga cosa” magari allegando al contratto una tabella indicante tutte le spese possibili.
Per quanto riguarda le locazioni a canone concordato, queste vengono così denominate perché, prevedendo una durata minima inferiore di quelle a canone libero (3 + 2 di rinnovo automatico) sono “blindate” sulla determinazione del canone che deve essere non superiore a quello stabilito dalle associazioni più rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini.
A parte, come detto, prevedere una durata minima inferiore a quella di cui alle locazioni libere, questa tipologia di contratti prevede delle interessanti agevolazioni fiscali come una imposta di registrazione inferiore a quella prevista per le locazioni libere anzidette e cioè pari al 1,4% annuo anziché al 2% e delle aliquote di ICI più basse per i Comuni che le hanno previste.
Ai fini di ciò che più interessa può essere affermato che conviene seguire questa strada contrattuale quando il canone concordato è inferiore fino al 15% rispetto a quello che si otterrebbe sul mercato libero.
Per comprendere il meccanismo di questi contratti non semplici, si può sintetizzare dicendo che le organizzazioni di proprietari ed inquilini hanno firmato, in ogni città-capoluogo e anche in molti comuni di grandi dimensioni, un accordo che stabilisce la ripartizione del comune in zone a seconda del valore immobiliare del quartiere e la classificazione degli appartamenti, a seconda del tipo di dotazioni e dello stato manutentivo.
In base a questi due criteri si individua un canone minimo e uno massimo.
A proposito dei contratti appena esaminati, deve essere evidenziato che non è un vezzo utilizzare la terminologia quattro + quattro invece di otto e tre + due invece di cinque.
Infatti, dopo i primi tre o quattro anni di locazione, la regola del rinnovo automatico trova sette eccezioni nelle altrettante ipotesi di cui all’art. 3 della Legge 431/1998 per le quali il proprietario può, alla prima scadenza, chiedere la liberazione dell’immobile. Esse sono le seguenti:
il proprietario ovvero un familiare fino al secondo grado hanno bisogno dell’immobile epr viverci o svolgere un’attività lavorativo;
il proprietario svolge un’attività di pubblica utilità e offre all’inquilino un altro immobile;
l’inquilino ha la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;
l’immobile si trova in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale deve essere assicurata la piena stabilità;
l’immobile si trova in uno stabile per il quale è prevista l’integrale ristrutturazione;
l’inquilino non occupa continuativamente l’immobile senza giustificato motivo;
il locatore intende vendere l’immobile a terzi e non ha la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello adibito a propria abitazione.
Nell’ultima ipotesi deve essere riconosciuto all’inquilino il diritto di prelazione comunicando a quest’ultimo la volontà di vendere ed il prezzo di vendita. Se l’inquilino non accetta, il proprietario potrà vendere l’immobile ma ad un prezzo non inferiore a quello proposto all’inquilino in quanto quest’ultimo potrà, entro un anno dalla trascrizione dell’atto di compravendita, subentrare all’acquirente al prezzo dichiarato nel rogito.